Costazza
Esposizione dal 4 agosto 2017 al 31 agosto 2017
Camminando, quasi religiosamente, lungo i percorsi progettati dall’architetto iraniano Zaha Hadid per il Museo Messner di Plan de Corones, due sono le cose che immediatamente si possono percepire. In primo luogo l’idea che la Montagna non sia “solamente” un luogo geologico, ma che, anzi, sia un vero e proprio “Genius Loci”, ovvero un topos, un luogo che ha in sé una forza primigenia, per via della sua natura quasi antropologica del rapporto con l’Uomo, cioè di un rapporto che non è solo visivo, dunque estetico, ma anche e soprattutto fisico: quasi un corpo a corpo. E così è anche per il museo Messner di Plan de Corones, dove la sensazione non è quella di entrare in un’architettura, ma piuttosto all’interno di un organismo proprio perché i suoi corridoi sono piuttosto simili ai percorsi interni di un organismo anziché alle sale squadrate di una costruzione. La seconda percezione che ci dà questo museo è quella che la Montagna può divenire “anche” un oggetto estetico laddove una serie di dipinti, dalla metà dell’Ottocento ad oggi, accompagnano i percorsi architettonici, dipinti dove la Montagna diviene una cartina al tornasole di varie sensazioni, che potremmo definire anche come un “Sentimento”. La Montagna, infatti, ha sempre suscitato e suscita, nell’animo o nella psiche dell’Uomo quello che potremmo definire genericamente appunto come un “Sentimento”, che può avere varie sfaccettature ma che, alla fine, sempre converge in esiti empatici: la montagna affascina, annichilisce e stordisce ad un tempo con la sua immanenza temporale, con la sua imponenza geologica, con la sua bellezza morfologica.
Questa attitudine verso la Montagna, attrattiva e reverenziale ad un tempo, si è andata precisando soprattutto nell’ambito della poetica del Romanticismo, quando le forze naturali, e comunque lo “spirito” della Natura, sono state associate alla liberazione di forti sensazioni, di sentimenti di abbandono quasi mistico, di esaltazione della percettività emotiva, di fronte all’inebriante visione della Montagna. Tutto ciò ha prodotto un impatto psicologico che ha sempre sollecitato il duplice “sentimento” di ammirazione estatica, da una parte, ma anche di timore per l’imponenza fuori scala umana della Montagna stessa. Di qui è anche scattata la sfida ai “limiti” della Natura, ad una Montagna amorevole che accoglie tra i suoi verdi prati e nei boschi dei suoi declivi, ma che sa essere anche inesorabile, e che respinge nell’abisso chi vuole violare le sue vette. Come si può capire, se dunque si parla di un artista che si occupa di queste tematiche, cioè della Montagna in quanto topos, in quanto “contenitore” e al tempo stesso “contenuto” di sensazioni e sentimenti “forti”, non si parla certo di cose banali. Si, perché, oggi che l’arte contemporanea, che già da tempo ha perso l’interesse per la fisicità del mondo che ci circonda, preferendovi le aride acrobazie concettuali, occuparsi di queste cose può appunto sembrare “banale”. Ma non lo è. Non lo è per il semplice motivo che nessuno, oggi, ha la ricetta in tasca per dire “cosa” sia l’Arte. E certamente non si può asserire che l’Arte sia quella delle varie fiere di Basilea e Miami, oppure delle Biennali, come Venezia e Kassel. Lì, semmai, regna il “mercato”, il business: ma possiamo asserire che questi aspetti corrispondano all’idea di arte? Certamente no. Anzi, semmai, potremmo sospettare che siano chiari segni di quella “perdita del centro”, ovvero della perdita generale di “valori”, preconizzata negli anni ’40 del secolo scorso dal filosofo svizzero Hans Sedlmayr: perdita di “valori culturali” sostituiti da “valori economici”. Ecco allora che il voler rimanere ancorati alla Pittura, e inoltre il voler indagare la Montagna e la sua Gente è non solo un’operazione estetica ma anche Culturale, in sé e per sé perché vuole anche recuperare il senso del “Genius Loci” cioè di un luogo che non va solo visto, ma anche percepito e vissuto. Su questa linea di pensiero, dunque, Costazza attua questa sua ricerca riducendo il paesaggio, le case ed anche le persone, ad un’estrema sintesi formale che ne esalta l’intima immanenza. Queste sue opere, infatti, hanno per certi versi un’attitudine a metà tra Metafisica e Realismo Magico, un’attitudine che le fissa come in una dimensione al di fuori del Tempo. Specie nei Paesaggi, le case e la Montagna sembrano fondersi in un’unica sequenza di volumi, quasi senza soluzione di continuità. E lo stesso si può dire per i personaggi di questa sua visione, che sono così essenziali da sembrare, a loro volta, parte integrante del paesaggio montano. E’, questa, una visione che rifiuta ogni descrittivismo, ogni fronzolo, proprio per giungere, grazie ad una perfetta sintesi volumetrica, a tendere a quella “levità” che fa si che queste figure ad un certo punto si possano quasi fondere con la Montagna stessa. A questa visione sintetica, che spesso di fonda anche su di un timbro quasi monocromatico, fa eccezione la serie delle “nature morte”, perlopiù vasi di fiori, nelle quali Costazza recupera una pratica Secessionista, sia per il dato compositivo, sia per l’acceso cromatismo. E questo è il recupero della storia dell’arte, di questi luoghi. Questo artista sud-tirolese, che espone sin dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso, mostra in questa esposizione di Canazei, gli esiti ultimi di un percorso che è di esemplare coerenza ad una originaria idea di ricerca sulla Montagna che non ha mai abbandonato e che tende via via sempre più verso una sintesi che non è solo formale ma anche sostanziale.