Matthias Sieff

Esposizione dal 22 luglio al 31 agosto 2018

TANART è lieta di presentare un artista la cui ricerca ha alle spalle una lunga formazione: dalla scuola d’arte di Pozza, dove oggi è professore di discipline plastiche, alla scuola di scultura del legno a Selva di Val Gardena, fino alla laurea in Arti Applicate a Vienna.Matthias Sieff propone sculture monolitiche che rievocano immobili tratti di antiche memorie stilistiche, corpi colmi di forza e di grande vitalità espressiva. In continua evoluzione, superando ogni confine stilistico, ci avvicina alle sue creazioni in un modo molto semplice e fruibile:

“I miei personaggi sono nati dalla mia fantasia e dai miei studi sull’anatomia, e ciò che posso dire oggi è che attraverso le mie opere, nel bene e nel male, vengono espresse emozioni che suscitano per questo diversi sentimenti in chi li osserva: dallo stupore, alla perplessità fino ad arrivare alla meraviglia. Ma è un bene, l’arte ha un suo giudizio soggettivo individuale, può piacere o meno, di certo però le mie sculture non lasciano indifferenti, tutti le osservano, e questo mi da soddisfazione”.

Matthias Sieff è figlio d’arte. Si è formato in buone scuole e perfezionato all’Università delle arti applicate di Vienna. Nel suo diligente operare, però, forse inconsciamente, ha fatto proprio un sovrano principio enunciato da Pablo Picasso, secondo il quale “attraverso l’arte noi esprimiamo la nostra concezione di ciò che la natura non è”. La sua proposta scultorea, infatti, è qualche cosa che va la di là della mera rappresentazione della figura umana: è una trasfigurazione di essa, una metafora di un’entità superiore e diversa. La scultura, non è cosa da poco. Benvenuto Cellini, la considerava sette volte superiore alla pittura, osservando, in una sua lettera ad un amico: “…dico che l’arte della scultura, infra tutte le arti in cui interviene il disegno, è maggiore sette volte, perché una statua di scultura deve avere otto vedute, e si conviene che elle sieno tutte di eguale bontà”. E in quest’arte superiore, egli ha voluto cimentarsi con l’intento di imprimervi un anelito di originalità. Matthias realizza dei corpi che esprimono tanto una forza antica, quanto una lingua futura: essi, infatti, possono interpretarsi sia come sculture egizie uscite dalla sabbia del deserto o misteriosi moai che scrutano l’azzurro cobalto dell’oceano, sia come enigmatici personaggi di un altro spazio. Le figure umane, però, sono solo un pretesto, un punto di partenza per una riflessione sull’esistenza che si traduce in forme potenti, roboanti silenzi enunciati in un linguaggio non verbale, in vigorose braccia protese, in enormi mani che carpiscono l’infinito, in posture ieratiche che contemplano l’essere e il nulla. Ma in verità, questi elementi statuari, al contempo, umani e divini, terreni e celesti sono un crogiolo dell’arcaica tradizione e della moderna cultura; sono epigoni di un verbo sofisticato e di una voce fanciullesca. Ricordando, però, a quest’ultimo proposito, quello che sottolineava Picasso: “…a quattordici anni dipingevo come Raffaello; ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino”. Questa ambivalenza enigmatica, Matthias, la lascia volutamente insoluta, perché ognuno si interroghi sulle sue opere e da solo le definisca. Le sculture possiedono spesso un corpo in legno, ed egli le ama colorare. Non che questa sia una novità nella storia dell’arte. Solo che per lui, le sorprendenti e accese cromie, diventano dei nobili paludamenti, delle vesti comunicative, un duello abile di contrasti giocati o sui colori complementari o sull’uso aggressivo di tinte metalliche. Diventano opera su opera, pittura su scultura. Basti guardare all’omaggio a Mondrian. Le scelte cromatiche assumono, quindi, un ruolo decisivo, non solo estetico, quasi fossero il riflesso di scelte etiche. La tavolozza è ampia. Sovente ama coprire i corpi con il giallo, l’oro e il rosso: quest’ultimo perché è un colore orgoglioso, pieno di ambizione, assetato di potere. E’ il colore per antonomasia, ma dal significato ambivalente: rappresenta il sangue di Gesù e le fiammelle dello Spirito Santo; ma anche la morte, l’inferno e le fiamme di Satana. Il giallo è il colore dell’autunno, delle foglie che muoiono, dei valori morali che trascolorano: possiede tutti gli attributi dell’infamia. E’ l’estraneo, l’apolide. Di giallo sono gli uomini che tradiscono: gialla è la veste di Giuda; gialla la stella degli ebrei; di giallo sono segnate le case dei falsari. Il colore dorato ha, in contrapposizione, gli attributi positivi. E’ il sole, la luce e la potenza. Splende, brilla, illumina e riscalda. Il colore, in questo gioco psicologico, dona un’anima alle statue, una loro personalità. Nulla è lasciato al caso. Anche i piedistalli, debitamente dipinti, svolgono il loro ruolo. Diventano, così come le cornici, una delimitazione della superficie, una messa in relazione immediata con l’altro, una recinzione dello sguardo, uno spazio di visibilità. Matthias Sieff è un giovane artista consapevole del lungo percorso che deve ancora compiere per orientarsi in un mondo dell’arte sempre più complesso; ma egli è dotato dei tre elementi necessari per generare l’opera che possa definirsi arte: la creatività, che è il motore del mondo artistico, la realizzazione di ciò che si è sognato; la sensibilità, la capacità dei sensi di percepire la natura delle cose; l’intuizione, che è quella dote fatta di entità che conosciamo ma non ricordiamo e poi scoviamo entrandoci dentro.
Egli ha cercato, dunque, un suo percorso originale, da un lato arricchendo la sua arte di codici e linguaggi cromatici e segnici, dall’altro purificandola, rendendola essenziale e libera da orpelli inutili. Credo che Sieff, nella sua impegnata ricerca vada concretizzando ciò che Albert Einstein diceva: “l’arte è l’espressione del pensiero più profondo reso nel modo più semplice”. Grazie a Matthias e all’arte.
Avv. Erminio Mazzucco